Produzione primaria

Il processo di fotosintesi clorofilliana è fondamentale per l'esistenza della materia vivente sulla terra. Esso permette di trasferire il carbonio dalla sua forma ossidata, l'anidride carbonica CO$ _{2}$, presente nell'atmosfera, alla sua forma ridotta (carboidrati), presente nei tessuti delle piante, le quali costituiscono in peso più del 99% della materia vivente sulla nostra terra. A questo proposito si tenga presente che le molecole biologiche, essenzialmente costituite da C, H, N, O, P e S, sono caratterizzate da legami relativamente deboli, o, come si dice, ridotti, cioè ricchi di elettroni. Secondo le leggi della termodinamica le reazioni chimiche procedono spontaneamente verso situazioni di minore energia libera, caratterizzate da forti legami chimici e da massimo disordine. La materia vivente è in un certo senso una contraddizione a queste leggi in quanto le molecole degli organismi viventi continuano ad esistere in presenza di un forte agente ossidante come l'ossigeno atmosferico che tende ad acquisire elettroni. L'evoluzione verso una situazione di equilibrio termodinamico comporterebbe la formazione di CO$ _{2}$, H$ _{2}$O e NO $ _{3}^{\mbox{--}}$. In effetti questo è proprio quello che succede quando gli organismi muoiono. Le piante, per mantenersi vive, devono continuamente processare l'energia che viene dal sole per rimanere in una situazione di non equilibrio termodinamico caratterizzato da strutture altamente ordinate tenute insieme da deboli legami chimici.

Figura 1: Esempio di struttura di una foglia: sezione trasversale di foglia di Pittosporum tobira (Dicotiledoni). Si veda il testo per i dettagli.
\includegraphics[scale=1]{foglia}

La fotosintesi avviene nei cloroplasti delle cellule delle foglie delle piante verdi. La struttura della sezione di una foglia è mostrata in Fig. 1. In essa si riconoscono le seguenti componenti:

  1. L' epidermide superiore Ha una cuticola un po' più ispessita di quella dell'epidermide inferiore: la superficie superiore, infatti, è quella più direttamente esposta all'irraggiamento solare ed è quindi soggetta ad una maggiore stimolazione alla traspirazione.
  2. Il tessuto a palizzata (parenchima clorofilliano) è caratterizzato da cellule molto ricche di cloroplasti, allungate perpendicolarmente alla superficie della foglia, con sottili spazi intercellulari.
  3. Il tessuto lacunoso è caratterizzato da cellule variamente orientate, fornite di un minor numero di cloroplasti, con ampi spazi intercellulari. Tra palizzata e lacunoso si possono osservare delle cellule di transizione, dette collettrici.
  4. L'epidermide inferiore presenta numerosi stomi aeriferi (aperture attraverso le quali può entrare l'aria). Gli stomi sono costituiti da due cellule, dette di guardia, che delimitano un'apertura detta rima stomatica. Le cellule di guardia regolano l'ampiezza della rima variando il loro turgore. Sono provviste di cloroplasti, a differenza delle altre cellule epidermiche che generalmente ne sono sprovviste.
Al centro della sezione di Fig. 1 si nota una nervatura (indicata con il numero 5), il cui fascio presenta lo xilema rivolto verso la pagina superiore.

La fotosintesi è resa possibile da un pigmento, la clorofilla, che assorbe l'energia solare, specialmente le lunghezze d'onda rosse e blu, e la trasferisce a diverse reazioni chimiche, che comportano l'utilizzo di alcuni specifici enzimi. Questi enzimi permettono da una parte di spezzare le molecole d'acqua e di rilasciare ossigeno nell'atmosfera, dall'altra di utilizzare idrogeno e anidride carbonica per costruire molecole di carboidrati. In forma semplificata possiamo riassumere la fotosintesi nella maniera seguente

12H$ _{2}$O + 6CO$ _{2}$ + energia solare $ \to$ C$ _{6}$H$ _{12}$O$ _{6}$ + 6O$ _{2}$ + 6H$ _{2}$O
Perché la reazione di fotosintesi abbia luogo, occorre pertanto che l'organismo autotrofo assorba acqua e anidride carbonica dall'ambiente circostante e le trasformi, grazie alla clorofilla e ad alcuni enzimi, in carboidrati (C$ _{6}$H$ _{12}$O$ _{6}$) e ossigeno (restituito all'atmosfera).

Per mantenere le complesse molecole biologiche che ne costituiscono i tessuti le piante, come tutti gli esseri viventi, devono spendere parte dell'energia che hanno accumulato. Questi processi vengono chiamati metabolici e comportano la perdita di energia sotto forma di calore (vedi la Fig. 2). La respirazione è proprio l'opposto della fotosintesi e, in forma semplificata, possiamo scrivere che è data da

C$ _{6}$H$ _{12}$O$ _{6}$ + 6O$ _{2}$ $ \to$ 6CO$ _{2}$ + 6H$ _{2}$O + calore
I carboidrati vengono pertanto ``bruciati'' grazie all'ossigeno presente nell'ambiente e per opera di alcuni enzimi metabolici, con il risultato di un rilascio di anidride carbonica, acqua e calore nell'ambiente.

I processi di fotosintesi e respirazione sono sintetizzati schematicamente in Fig. 2. Essa mostra due importanti cicli di feedback, quello della CO$ _{2}$ e quello dell'acqua. La parte sinistra del disegno mostra l'effetto indotto dalla luce. Promuovendo la fotosintesi, la luce causa una diminuzione del livello di CO$ _{2}$ nella foglia. La risposta della foglia consiste nell'aumentare la concentrazione di ioni potassio (K$ ^{ + })$ nelle cellule di guardia; l'acqua, trascinata per osmosi, gonfia le cellule di guardia facendo così aprire gli stomi. Nella parte di destra di Fig. 2, invece, è rappresentato l'effetto dello stress idrico. Quando dalla superficie fogliare evapora più acqua di quella che può arrivare dalle radici, la foglia causa una diminuzione del livello di ioni potassio nelle cellule di guardia, facendo così uscire acqua (sempre per osmosi) e provocando la chiusura degli stomi. Se il tasso di traspirazione è particolarmente elevato, l'acqua evapora direttamente dalle cellule di guardia provocando comunque la chiusura degli stomi.

Figura 2: I processi di fotosintesi e respirazione all'interno della foglia: il funzionamento delle cellule di guardia.
\includegraphics[scale=1]{guardia}

Naturalmente l'accumulo di materia vivente nelle piante (cioè la produzione primaria) è possibile perché la fotosintesi e la respirazione non si compensano, ovvero l'energia catturata attraverso il processo di fotosintesi è maggiore dell'energia persa col processo di respirazione. E questo nonostante che di notte avvenga solo la respirazione. La differenza di energia viene immagazzinata come tessuto vegetale che, tra l'altro, costituisce il cibo per gli erbivori (secondo livello della catena alimentare) e rende quindi possibile il trasferimento di energia agli organismi eterotrofi. Più precisamente, con riferimento ad un determinato lasso di tempo, si definisce

Produzione primaria lorda (PPL) = energia acquisita con la fotosintesi
Produzione primaria netta (PPN) = PPL - energia persa con la respirazione

La misura delle produzioni primarie, sia lorda sia netta, costituisce un argomento di grande importanza, in quanto permette di capire su quale flusso di energia possa contare un determinato ecosistema ai fini del proprio funzionamento. I metodi sono parecchi e differiscono a seconda dell'ecosistema considerato. Per le piante terrestri una maniera diretta è quella di misurare i cambiamenti di concentrazione di CO$ _{2}$ nell'aria attorno alle piante. A questo fine si racchiude una pianta o parte di essa in un involucro trasparente e si misurano i flussi di CO$ _{2}$. Infatti esiste un ben preciso rapporto tra la quantità di energia solare catturata da una pianta e la quantità di anidride carbonica scambiata con l'atmosfera. Più precisamente, se consideriamo la reazione semplificata della fotosintesi come espressa in moli, allora l'energia solare necessaria perché avvenga la reazione è esattamente 709 kcal. Perciò lo scambio di 6 moli di CO$ _{2}$ (circa 134 litri a pressione e temperatura standard) indica che sono state assorbite 709 kcal. Ricordando che il peso atomico del carbonio è 12 possiamo anche dire che lo scambio di 6$ \times$12 = 72 gC equivale ad introitare 709 kcal. Naturalmente la stessa equivalenza si ha anche nel processo di respirazione.

La Fig. 3 mostra il risultato di misure di questo tipo per un abete di Douglas in un giorno primaverile e in un giorno estivo. Si noti che ovviamente di notte il flusso di CO$ _{2}$ è negativo, perchè è operante solo la respirazione. La misura del flusso di CO$ _{2}$ di giorno è indicativo della produzione primaria netta, in quanto sia la fotosintesi sia la respirazione sono presenti. Le misure notturne permettono di valutare l'energia persa per sola respirazione e di risalire quindi alla produzione primaria lorda. Da notare anche l'influenza dell'intensità luminosa e della temperatura.

Figura 3: Andamento giornaliero dell'assimilazione netta di CO$ _2$ per l'abete di Douglas in (a) inverno e (b) estate (Helms, 1965).
\includegraphics[scale=1]{abete}

Le misure dirette di scambio del carbonio con l'atmosfera sono comunque piuttosto sofisticate in quanto richiedono l'uso di strumentazione complicata o di isotopi quali $ ^{14}$C. Il metodo più semplice di misura della PPN è quello che fa ricorso al rilevamento e al bilancio degli incrementi e delle perdite di biomassa della foresta o della prateria di cui si voglia misurare la produzione primaria. Più precisamente indichiamo con [$ t_{1}$, $ t_{2}$] l'intervallo di tempo relativamente al quale vogliamo misurare la PPN. Con opportuni metodi si possono rilevare le biomasse dei produttori primari al tempo $ t_{1}$ e al tempo $ t_{2}$: $ B_{1}$ e $ B_{2}$. La produzione primaria netta non è altro che l'energia che viene utilizzata nel periodo [$ t_{1}$, $ t_{2}$] per sintetizzare nuova biomassa. Si potrebbe perciò pensare che l'equivalente in biomassa della PPN è $ \Delta B =
B_{2} - B_{1}$. Ma questo sarebbe vero solo se in tale periodo non ci fossero perdite di biomassa dovute alla morte di piante o di parti di piante. Poiché a causa dell'azione degli erbivori, del prelievo da parte dell'uomo e dei naturali processi di invecchiamento tali perdite si verificano, bisogna tenere conto che una parte della PPN va semplicemente a rimpiazzare la biomassa morta. Perciò per un corretto calcolo della PPN si deve anche misurare quanta biomassa viene persa per mortalità durante l'intervallo di tempo considerato: $ M(t_{1}, t_{2})$. In definitiva la produzione primaria netta in termini di biomassa si ottiene come

   PPN$\displaystyle = \Delta B + M(t_{1}, t_{2}).
$

Tale valore può essere convertito in kcal mediante la valutazione a mezzo di bomba calorimetrica del contenuto calorico medio della biomassa dei produttori. Così pure si può convertire tale valore in moli di anidride carbonica, come visto precedentemente, o equivalentemente in grammi di carbonio. Per gran parte dei tessuti delle piante il contenuto di carbonio è circa il 45-50% del peso secco (cioè della biomassa privata di acqua). Perciò i valori di PPN espressi in peso secco sono di solito un po' più del doppio di quelli espressi in carbonio.

Negli ambienti acquatici il metodo di gran lunga più usato per misurare la produzione primaria è quello che rileva le variazioni delle concentrazioni di ossigeno. Infatti, mentre nell'atmosfera l'ossigeno è presente in quantità enormi e i processi di fotosintesi e di respirazione non sono in grado di farne variare apprezzabilmente la concentrazione, non così è nell'acqua dove le concentrazioni di ossigeno disciolto sono estremamente basse e possono venire influenzate in modo rilevante dalla fotosintesi di alghe e piante acquatiche e dalla respirazione degli organismi acquatici, siano essi vegetali o animali. L'idea perciò è di misurare i flussi di ossigeno sapendo che la produzione di 6 moli di ossigeno nel processo fotosintetico equivale all'assorbimento di 709 kcal. In pratica si utilizza il cosiddetto metodo delle bottiglie chiara e scura. Ad una certa profondità vengono presi campioni d'acqua contenenti fitoplankton e viene misurata la concentrazione di ossigeno. Tali campioni vengono poi immediatamente sigillati in bottiglie chiare e scure e risospesi alla medesima profondità (cioè con le medesime condizioni di temperatura e di intensità luminosa). Nelle bottiglie chiare avviene ovviamente sia la fotosintesi sia la respirazione, in quelle scure solo la respirazione. Dopo un certo tempo le bottiglie vengono ricuperate e si misura la variazione della concentrazione di ossigeno avvenuta. Il cambiamento di concentrazione di ossigeno nelle bottiglie chiare fornisce una misura della produzione netta, non del tutto precisa in quanto include la respirazione anche di batteri e zooplankton (eventuali organismi più grossi vengono di solito eliminati!); il cambiamento di concentrazione nella bottiglia scura fornisce una misura della respirazione delle alghe, dei batteri e dello zooplankton. Sommando la produzione netta calcolata dalla bottiglia chiara alla respirazione calcolata dalla bottiglia scura si ottiene la produzione primaria lorda, stimata con buona precisione perchè le due respirazioni, nella bottiglia chiara e in quella scura, anche se non riferite solo ai produttori primari, si elidono reciprocamente.


Tabella 1: Produttività primaria netta (in grammi di peso secco per metro quadrato e per anno) di alcuni tipi di vegetazione e relativa biomassa per unità di area (in grammi per metro quadrato). Dati tratti da Krebs (1972).
\begin{table}\begin{tabularx}{\linewidth}
{p{0.5\linewidth}XX}
\bf Tipo di veget...
...tinentale&
350&
10 \\
Terreno agricolo&
650&
1000 \\
\end{tabularx}\end{table}


Con questi metodi di stima della produzione primaria è possibile stabilire come varia la PPN a seconda dei diversi tipi di vegetazione presenti nelle varie parti del nostro pianeta. La Tab. 1 riporta alcuni dati medi a questo proposito affiancandoli ai valori di biomassa. È interessante notare come la PPN in ambiente terrestre raggiunga i suoi valori massimi nella foresta pluviale tropicale e vada decrescendo progressivamente verso i poli. Tuttavia le praterie e le tundre sono meno produttive delle foreste presenti alle medesime latitudini. La produzione primaria dell'oceano aperto è molto bassa, paragonabile a quella della tundra artica e dei deserti, ma le zone di mare prossime alla terraferma, e in particolare estuari e lagune, possono essere molto produttive, più del terreno coltivato. Si noti però che l'oceano aperto ha il più alto rapporto tra PPN e biomassa che la produce: il fitoplankton infatti non ha strutture di sostegno e tutta la biomassa concorre al processo di fotosintesi.


Tabella 2: Stime della produzione primaria netta e della biomassa vegetale nei vari biomi che compongono la nostra biosfera. Le informazioni sui biomi terrestri sono tratte dal terzo rapporto dell'IPCC (Houghton et al., 2001), quelle sugli ecosistemi marini da Field et al. (1998). Acque oligotrofiche: $ <$ 0.10 mg m$ ^{-3}$ clorofilla-a; mesotrofiche: 0.10-1 mg m$ ^{-3}$ clorofilla-a; eutrofiche: $ >$ 1 mg m$ ^{-3}$ clorofilla-a.
\begin{table}
\begin{tabularx}{\linewidth}{p{0.2\linewidth}XXXXX}
&&&&&\\
\text...
...bf{657}&
\textbf{1.29}&
\textbf{111.1}&
\textbf{217.7}
\end{tabularx}\end{table}


È anche interessante stabilire delle stime complessive (riferite cioè all'intero globo terracqueo) della produzione primaria netta e della biomassa e stabilire in quale proporzione i vari ecosistemi concorrono al bilancio globale. Esistono diverse stime a livello del nostro pianeta basate su compilazioni di dati di diversa fonte. La compilazione storicamente più citata è quella di Whittaker e Likens (1973), ormai superata perché la stima della biomassa vegetale sulla terraferma è eccessiva (più di 800$ \times$10$ ^{15}$ gC). Stime successive (Olson et al., 1983) fornirono valori più bassi per quanto riguarda la biomassa delle piante terrestri (che costituiscono comunque la quasi totalità della biomassa vegetale): 560$ \times$10$ ^{15}$ gC. Nella Tab. 2 vengono riassunte le informazioni più recenti. Come si può notare la PPN globale si aggira sui 110$ \times$10$ ^{15}$ gC anno$ ^{-1}$, mentre la biomassa totale vegetale è stimata in più di 650$ \times$10$ ^{15}$ gC. È interessante notare come la produzione primaria netta per unità di area negli ecosistemi marini è decisamente inferiore a quella degli ecosistemi terrestri, ma, a causa della maggiore estensione dei mari rispetto alla terraferma, la PPN totale è di poco inferiore a quella degli ecosistemi terrestri. Tale PPN, come già fatto osservare, è poi ottenuta con una biomassa che è circa lo 0.46% di quella delle piante terrestri.

Ci si può chiedere qual è l'efficienza delle piante nel catturare l'energia solare mediante il processo di fotosintesi clorofilliana. Estremamente bassa, come permette di appurare un calcolo approssimativo. Ogni anno la radiazione solare nelle lunghezze d'onda corte, cioè quelle sfruttabili dalle piante, che raggiunge la superficie terrestre, inclusi gli oceani, è di circa 3$ \times$10$ ^{24}$J (Harte, 1985). Dalla Tab. 2 risulta che la PPN totale annuale è di 111.1$ \times$10$ ^{15}$ gC. Abbiamo visto che lo scambio di 72 gC corrisponde a 709 kcal = 4.18$ \times$0.709$ \times$10$ ^{6}$ J (ricordatevi che 1 cal equivale a 4.18 J!) e perciò con facili calcoli si ottiene che la PPN totale annuale è di 4.57$ \times$10$ ^{21}$J. Ne viene quindi che solo lo 0.15%della radiazione incidente utile è accumulato nella biomassa delle piante! Naturalmente una certa parte della radiazione solare viene a cadere su zone prive di vegetazione, ma nonostante questo la percentuale di energia solare catturata dalle piante rimane comunque molto bassa. Per la precisione possiamo definire due tipi di efficienze:

Efficienza fotosintetica$\displaystyle =\frac{\text{Produzione primaria lorda}}%
{\text{Energia della radiazione solare}}$      
Efficienza di produzione netta$\displaystyle =\frac{\text{Produzione primaria netta}}%
{\text{Produzione primaria lorda}}$      

Entrambe le efficienze sono numeri puri compresi tra 0 e 1. Si stima che tra il 40 e il 60% dell'energia catturata con la fotosintesi viene persa nella respirazione, perciò l'efficienza netta di produzione varia appunto tra il 40 e il 60%. È invece l'efficienza fotosintetica ad essere molto bassa, come il calcolo approssimato di prima ci faceva sospettare. Naturalmente essa varia da pianta a pianta, ma difficilmente supera il 2% e anzi in genere è molto più bassa. La luce che arriva al suolo è in eccesso rispetto alle capacità fotosintetiche delle piante terrestri e per quanto riguarda il fitoplankton poi si può addirittura avere un fenomeno di inibizione: troppa luce ostacola il processo di fotosintesi. Come processo biochimico, la fotosintesi è di per sè notevolmente efficiente: se si fa il rapporto tra l'incremento di energia che ricevono gli elettroni nella fotosintesi e la quantità di energia portata dai fotoni necessari per attivare il processo e produrre carboidrati, si ottiene una cifra pari a circa il 35%. Le ragioni per cui l'efficienza fotosintetica "ecologica" è molto minore di quella teorica biochimica sono svariate e non del tutto chiare. In primo luogo buona parte dei fotoni incidenti sulla superficie di un ecosistema cadono sul suolo nudo o su tessuti non contenenti clorofilla e così via. In secondo luogo, della radiazione incidente solo circa il 45% appartiene a lunghezze d'onda utili per la fotosintesi (come noto, è la luce visibile blu e rossa quella maggiormente assorbita dalla clorofilla); sarebbe perciò più corretto calcolare l'efficienza fotosintetica rispetto alla PAR (Photosynthetically Active Radiation), ottenendo così un valore circa doppio. Queste due ragioni non riescono però da sole a giustificare la bassissima efficienza dei produttori primari. Una possibile spiegazione è che le piante devono essere adattate a funzionare in condizioni molto diverse di disponibilità di luce e di nutrienti e meccanismi che funzionano molto bene con luce molto intensa non funzionano altrettanto bene con luce scarsa. Nel mondo reale le piante si trovano a dover fronteggiare continue variazioni della radiazione a scala sia diurna sia stagionale e il risultato dei diversi compromessi tra le diverse esigenze è una bassa efficienza. Per riassumere, il prodotto delle due efficienze, fotosintetica e di produzione netta, dà il rapporto tra PPN e energia della radiazione solare e non supera di solito l'1%. Vallentyne (1965) ha calcolato un valore medio di 0.4% per la terraferma e di 0.2% per gli oceani.

Figura 4: Produttività potenziale degli oceani calcolata in base alla quantità di radiazione solare alle diverse latitudini in diverse stagioni dell'anno (Ryther, 1963).
\includegraphics[scale=1]{product}

Che cosa determina i diversi valori di produzione primaria che caratterizzano i diversi ecosistemi, come messo in evidenza dalle Tab. 1 e 2? Nonostante che l'energia immagazzinata nelle piante sia in definitiva quella fornita dal sole, non è in generale la luce ad essere il fattore limitante che controlla la produzione primaria. Se così fosse, i mari tropicali dovrebbero essere massimamente produttivi e quelli polari estremamente improduttivi, come mostra la Fig. 4. Invece il Mar dei Sargassi ha una PPN molto bassa, mentre l'Oceano Antartico è la regione oceanica più produttiva. Il fatto è che per produrre biomassa vegetale non basta energia. In primo luogo il processo di fotosintesi clorofilliana ha bisogno di acqua, che è decisamente deficiente in alcuni climi caratterizzati da grande intensità della radiazione solare. Ma in più ci vogliono tutta una serie di elementi o composti che non possono venire acquisiti con la fotosintesi (la quale, ricordiamoci, fornisce alla pianta C, H, O) e che sono mattoni fondamentali della materia vivente. I principali elementi che le piante devono procurarsi assorbendoli dal suolo, dall'atmosfera o, se acquatiche, dall'acqua sono azoto, fosforo e zolfo. Altri elementi come silicio o ferro o manganese sono importanti, ma di solito non costituiscono quantitativamente una parte rilevante della biomassa e sono presenti nell'ambiente in quantità sufficienti ai bisogni dei produttori primari.